ZIMBABWE  (Rhodesia meridionale)

Storia

Basta sentir dire la frase “Le miniere di re Salomone” e si pensa subito ad una misteriosa, lontana terra; un paese di favola, leggendario, che ci porta  a dubitare che questa terra esista veramente. Invece esiste ed è la Rhodesia, un paese grande 4 volte l’Italia, situato nel meridione dell’Africa, abitato già prima di Cristo da popoli di alta civiltà.

Nel 1921, in una caverna presso Broken Hill, nel nord del paese,  furono ritrovati i resti di un uomo preistorico, vissuto circa 60.000 anni fa. Fu chiamato “Homo Rhodesiensis” e ci dimostra che la zona era abitata ancora prima che apparissero i “Boscimani” (da: Bushmen = uomini della boscaglia), ritenuti fin dal XIX secolo gli abitatori originari.

Le popolazioni che arrivarono dopo, nei primi secoli dopo Cristo, ci lasciarono i resti di grandiose costruzioni a testimonianza dell’alto grado di civiltà raggiunto. Ma le prime notizie su di loro, più o meno attendibili, ci giunsero verso la metà del 1500 e da queste partirono le prime esplorazioni ad opera dei portoghesi. Il primo europeo che visitò la Rhodesia fu Francesco Silveira, che nel 1561 fu ucciso dagli indigeni.

Seguirono secoli di lotte, guerre, invasioni fra i popoli indigeni finchè nel XIX secolo apparve l’uomo che esplorò a fondo la zona, conquistandola palmo a palmo, organizzò lo sfruttamento e, meglio ancora, ne iniziò la civilizzazione a nome e per conto della sua patria, l’Inghilterra. Quest’uomo fu sir Cecil Rhodes, da cui prese nome il 3 maggio 1895 la Rhodesia ed in essa volle pure morire ed essere sepolto.

La Rhodesia divenne un saldo dominio britannico alla fine del 1800, e lo fu in virtù dei fondi e dell’opera della Compagnìa Inglese del Sud Africa. Lo stato, diviso in due dal fiume Zambesi, conobbe subito l’efficienza inglese in campo di colonizzazione. Già dal 1897 si portò a Bulawayo la ferrovia proveniente dal Capo, e nel 1899 a Salisbury, congiungendo così tutto il territorio dall’Oceano Indiano all’Oceano Atlantico.

Le due parti in cui fu diviso il territorio costituirono, appunto, la Rhodesia meridionale, a sud dello Zambesi, e la Rhodesia settentrionale, a nord di esso.

Subito, all’inizio del secolo XX, con l’arrivo dei coloni  bianchi, tutto il dominio si risvegliò al progresso, in tutti i settori, demografico-economico, lo sfruttamento delle miniere, specie quelle aurifere, la creazione di piantagioni, degli allevamenti, dei centri urbani e delle ferrovie. Tutto ciò in breve tempo cambiò la vita e l’aspetto del paese.

Il 12 settembre 1923 la Rhodesia Meridionale, la più antica e progredita, passò dal governo della Compagnìa a quello diretto della Corona d’Inghilterra. Fu nominato un  Governatore Generale, assistito da un Consiglio esecutivo e da una Assemblea legislativa.

Nell’aprile del 1924 la stessa operazione si compì per la Rhodesia Settentrionale. Ambedue le Rhodesie ebbero la facoltà di nominare un Consiglio indigeno di capi locali. L’immigrazione europea si ampliò molto, tanto che alla fine della prima guerra mondiale era addirittura raddoppiata. E con la suddivisione delle terre in tre parti: una per gli europei già residenti, una per eventuali altri arrivi dei bianchi, ed una per gli indigeni, si adottò anche il sistema della divisione tra bianchi ed indigeni.
L’agricoltura ebbe, sin dall’inizio, una notevole importanza per l’economia del paese. Gli abbondanti raccolti  di mais, tabacco, agrumi, legumi e frutta, da sempre rappresentano l’attivo dell’economia della zona. Si sviluppò pure molto l’allevamento del bestiame, soprattutto di ovini, bovini e suini e, conseguentemente, le industrie collegate.

Le ricchezze del sottosuolo costituirono una ricchezza secondaria in quanto le relative miniere di oro, cromo, astesto e carbone, erano molto distanti fra loro e mal distribuite.

Una vasta rete ferroviaria collegò Salisbury non solo alle altre  città della stessa regione, ma anche ad altri stati vicini come il Mozambico ed il Transvaal.

Il Parlamento della Rhodesia Meridionale fu eletto da tutti cittadini britannici superiori ai 21 anni, ogni  5 anni, e potè legiferare su tutti gli argomenti, salvo che su quelli relativi agli indigeni.

La Rhodesia Settentrionale, più estesa di quella meridionale, non riuscì a raggiungere il livello di progresso di quest’ultima, in quanto, non offrendo buone condizioni del territorio, non favorì neppure l’immigrazione degli europei. Zone acquitrinose, aride boscaglie, steppe, non sembrarono appetibili ai bianchi. Solo nella parte est della regione, in virtù della notevole piovosità, furono reperite prospere terre agricole.

Più invitanti furono le risorse del sottosuolo, come il rame, lo zinco, il piombo, ma soprattutto nella zona di Broken Hill nel 1931  fu iniziato lo sfruttamento dei lateriti contenenti il  vanadio.  L’estrazione dell’oro fu praticata principalmente in due centri: Luiri e New Jessie. Nel 1933 si ebbero le maggiori esportazioni di rame.

Qui, a differenza della Rhodesia Meridionale, non fu stabilita una netta divisione tra bianchi ed indigeni e le diverse razze convissero pacificamente.

Colonia della Corona, senza istituzioni parlamentari, prese il potere un Governatore  nominato dall’allora re d’Inghilterra, con l’ausilio di un Consiglio esecutivo composto da 5 membri e da un Consiglio legislativo, composto da 16 membri, dei quali 7 eletti. Dal 1935 fu proclamata capitale Lusaka.

Gli anni 40 videro svilupparsi sempre più l’economia di ambedue le Rhodesie; le produzioni e le esportazioni aumentarono portando a livelli eccezionali la ricchezza di tutto il paese.

Ma l’avvenimento più importante fu politico. Il 1° agosto 1953 nacque la Federazione fra lo stato rhodesiano ed il territorio del Niassa, con il preciso scopo di tutelare le popolazioni europee, strette in mezzo alla stragrande maggioranza delle popolazioni indigene. L’accordo per la nascita della Federazione fu osteggiato tanto dai nazionalisti del Niassa ma, comunque,  fu posta sotto la dipendenza del Commonwealth Office, ed ebbe il compito di lavorare sugli affari esteri, la difesa, il commercio estero, le finanze, le comunicazioni, le irrigazioni.

I singoli stati ebbero invece la competenza legislativa sulla proprietà terriera e sulla educazione politica degli indigeni. Il potere legislativo fu esercitato da una Assemblea federale composta da 35 membri e sotto il diretto controllo del Governatore Generale.

Nel 1960/61 una Conferenza si riunì a Londra per revisionare la Costituzione, ma non furono raggiunti risultati soddisfacenti.
La Costituzione della Rhodesia Meridionale  del 1923 rimase pressochè immutata. Invece si registrò un netto cambiamento della politica indigena. Dati gli stretti legami con la Repubblica Sudafricana, anche in Rhodesia  si giunse quasi al regime dell’apartheid.

Ma la Federazione Rhodesia-Niassa proclamò l’uguaglianza fra africani ed europei quindi, il progetto dell’apartheid, voluto soprattutto dai coloni più vecchi, fu abbandonato.

Il governo continuò a sostenere, con notevoli mezzi, il diffondersi della cultura fra gli indigeni, anche se questi non poterono beneficiare di molti diritti politici.

Nella Rhodesia Settentrionale invece la Costituzione nel 1945 fu modificata e questo protettorato raggiunse quasi l’autogoverno, almeno per gli affari interni.

Nel 1959 la Costituzione ebbe poi la possibilità di modificare il Consiglio legislativo cosicchè potè essere affidata ai nativi una più  larga libertà politica nell’amministrazione locale. Ed anche le organizzazioni sindacali si attivarono, affinchè venissero affidate agli operai indigeni mansioni sempre più qualificate, anche senza il relativo riconoscimento salariale.

Nel 1963 la Federazione fra la Rhodesia Settentrionale ed il Niassa si sciolse. Sorsero varie formazioni politiche, prima fra tutte il Rhodesian Front, fautore dell’indipendenza europea. Nell’aprile 1964 il premier J. Smith represse del tutto l’opposizione africana; nel novembre 1965, a seguito di referendum favorevole, fu proclamata l’indipendenza unilaterale, pur rimanendo nell’ambito del Commonwealth. Il governo britannico non accettò questa deliberazione e, sollecitato anche dalle Nazioni Unite, promosse vari incontri di chiarificazione a Gibilterra, fra Smith e Wilson, premier inglese.

La posizione rhodesiana si fortificò sempre più, finchè nel 1966 si staccò dal Commonwealth; nel 1968 nuovi colloqui Smith-Wilson fallirono; nel 1969, con referendum, fu approvata una nuova Costituzione razzista; il 2 marzo 1970 fu proclamata la Repubblica.

Nel 1971 fu concordato col governo britannico un piano di evoluzione costituzionale che però non raggiunse alcun  risultato apprezzabile. Nel 1972 iniziò la guerriglia. Nel 1974, a causa di controversie col Mozambico e di pressioni negoziali provenienti dal Sudafrica, la posizione della Rhodesia cominciò ad indebolirsi e di ciò approfittarono le Organizzazioni africane, guidate dal vescovo Abel  Muzorewa.

Nel 1976 a Ginevra si svolse una Conferenza in cui Smith propose la nomina in Rhodesia di un governo multirazziale. Dopo le elezioni del 1977 Smith concluse un accordo con i moderati nazionalisti ed il 3 marzo 1978 ci fu la consegna del potere alla maggioranza africana.

Nell’aprile del 1979 le elezioni furono vinte dal partito del vescovo  Murozewa. Il 18 aprile del 1980 il nuovo stato si chiamò Zimbabwe e la capitale fu Harare. Il presidente eletto fu Josiah Gumede.

Il governo durò fino alle elezioni quando vinse il Fronte Patriottico. Il nuovo premier fu R. Mugabe, di tendenze marxiste, e presidente della repubblica fu il reverendo Banana.

Con il nuovo assetto si passò dallo stato di tribalismo  ad una situazione socio-economica più moderna. Per raggiungere una più completa urbanizzazione, molti indigeni lasciarono le zone agricole per trasferirsi nelle città, creando non pochi problemi sociali ed urbanistici.

A questo proposito Mugabe applicò subito una riforma agraria, con una parziale distribuzione delle terre, per evitare che appunto gli indigeni abbandonassero le colture. Ma la trasformazione sociale tanto attesa non fu intrapresa; mancarono le necessarie riforme strutturali cosicchè contro la politica governativa nacque il malcontento, specialmente fra i Ndebeli, della regione del Matabeleland, dove nel 1982 ebbe inizio una insurrezione.

Nelle elezioni del 1985 il partito di maggioranza si riconfermò. Nel 1987 fu riformata la Costituzione, In Parlamento furono aboliti i seggi fino ad allora riservati ai bianchi. Il Presidente della Repubblica fu investito anche della carica di Capo del Governo.

Fu ribadita l’ideologia marxista-leninista e fu progettata  la costruzione di uno stato su partito unico, il che avrebbe notevolmente rafforzato la posizione di Mugabe che, infatti, il 30  dicembre 1987, candidato unico, fu eletto Primo Presidente Esecutivo.
Nel 1988 crebbe però l’opposizione al sistema e E. Tekere fondò il Zimbabwe Unity Movement. Ci furono dure repressioni contro gli studenti dell’università di Harare; proteste e denunce sorsero da vari enti umanitari  e dalla Chiesa. Nel 1989 Mugabe vinse ancora le elezioni.

Nel 1990 il Parlamento fu modificato ed ebbe una sola Camera. Ma l’affluenza alle urne era stata ridottissima e questo fu un segno del declino di Mugabe e del suo partito, anche perché non era stato risolto alcun problema legato alla terra ed alla disoccupazione.

Nel 1992 si potè finalmente varare la riforma agraria, fra le moltissime contestazioni dei bianchi, e furono distribuiti 11 milioni di ettari di terra a molte famiglie indigene ed indigenti.

Lo Zimbabwe fu sempre più coinvolto nell’opera di evoluzione e di decolonizzazione dell’Africa Australe e quando il Mozambico si trovò invischiato in una guerra civile, Mugabe inviò sue truppe per assicurare il transito nel territorio di Beira, importante porto per lo Zimbabwe, terra senza sbocco al mare.

Ma l’assistenza che Mugabe potè fornire non sarebbe stata sufficiente qualora fosse intervenuto il Sudafrica con il suo  strapotere. Fortunatamente lì finì il regime dell’apartheid e nell’Africa australe tutta si potè avviare il completo smantellamento del razzismo e furono stabilite condizioni di conciliazione e pacificazione ovunque.

Le elezioni del 1995 confermarono al potere Mugabe che proseguì la sua politica di liberalizzazione e privatizzazione.
 
Mugabe provvide al rilancio della riforma agraria già nel 1996 ed a questo scopo nel 1997 cominciò l’esproprio dei terreni. Il piano per lo sviluppo agricolo prevedeva l’assegnazione di otto milioni di ettari ai contadini. Invece ne risultarono dati meno della metà e la maggior parte rimase ai latifondisti.

In campo politico, pur avendo dichiarato di voler rivisitare il sistema marxista-leninista, ridusse al minimo la libertà di sciopero. Ma la decisione più contrastata fu quella di inviare truppe in aiuto a Kabila nel Congo, nonostante il suggerimento contrario di Nelson Mandela, verso il quale Mugabe  nutriva sentimenti di insofferenza, dovuta sicuramente al carisma di quell’uomo che era riuscito ad  abbattere  l’assetto razzista nel Sudafrica, dove sembrava una impresa impossibile.

E ciò perché Mugabe aveva accarezzato per lungo tempo  l’idea di  rappresentare con lo Zimbabwe il ruolo guida in quell’area dell’Africa. E questo era dovuto al fatto che il livello dello Zimbabwe, specialmente culturale, era a quei tempi di gran lunga superiore a quello di tutti i paesi dell’Africa subsahariana.

E mentre il Sudafrica procedeva nel suo cammino di sviluppo e di democratizzazione, in tutti i sensi, lo Zimbabwe stava invece attraversando un periodo di involuzione, dovuto alla dilagante corruzione, al difficile  problema della terra e ad una instabilità politica crescente. A tutto questo si aggiunse un’altra grave calamità, il diffondersi repentino dell’AIDS che lì aveva raggiunto il più alto livello di tutto il continente.

La crisi divenne insostenibile nel febbraio 2000 quando la proposta del governo di espropriare le terre senza indennizzo, non passò all’approvazione chiesta con un referendum. L’opposizione ai programmi di Mugabe  veniva dal Movimento  per il Cambio Democratico. Ed allora i veterani della guerra di liberazione, a marzo e ad aprile, col tacito consenso del governo,  requisirono con la forza  numerose fattorie appartenenti ai bianchi e con questo resero molto critiche  le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna.