SUDAN

Storia

Terra desertica, non difesa da barriere montuose, sin dall’antichità il Sudan fu facile preda di popoli di ogni razza. Le successive invasioni   vi lasciarono  una traccia profonda  che impressero le due più caratteristiche orme sulla popolazione sudanese.  La prima è la grande varietà di gruppi etnici nei quali si suddividono gli abitanti: Berberi, Beni-Amer, Azande, Dinka, Bari;  la seconda è la straordinaria vitalità ed attività del popolo sudanese; in tutte le loro vicissitudini questi uomini impararono che lavorare insieme significa portare libertà e prosperità al proprio paese.

La prima colonizzazione di cui si ha notizia fu quella egiziana, che si verificò verso il 2000 avanti Cristo. Poi fu la volta degli Etiopi, che fondarono un regno con capitale Napata e restarono alla guida del paese per vari secoli. Verso il X secolo cominciò l’invasione araba, che portò alla diffusione dell’islamismo. Poi Mamelucchi ed Arabi compirono la conquista politica del Sudan.

Gli arabi stabilirono un dominio che durò fino alla fine del ‘700. Il dominio arabo fu per le popolazioni sudanesi molto duro.  I primi viaggiatori bianchi che visitarono il paese verso la fine del ‘700 videro dappertutto  miseria e fame; ma l’aspetto peggiore delle condizioni del popolo era rappresentato dalla tratta degli schiavi.

 Questa triste condizione cambiò quando ai confini sudanesi comparvero le armate egiziane.  Le guidava un giovane e già celebre condottiero, Mohamed Alì. Questo brillante generale, che mirava alla conquista di tutta l’Africa del nord, non ebbe difficoltà a sgominare i vari sultani locali e conquistò la maggior  parte del Sudan.

Gli egiziani organizzarono il  vasto territorio in diverse regioni e cominciarono a sfruttare le ricchezze fino ad allora godute solo da pochi. Iniziarono anche la costruzione di Khartoum, che sarebbe diventata poi la capitale del futuro stato sudanese.

Alla morte di Mohamed Alì, avvenuta nel 1849, vi fu un periodo di stasi, poi le condizioni del paese continuarono a progredire per opera del nuovo vicerè d’Egitto, Ismail, eletto nel 1863. Egli fu un grande principe, che diede l’avvìo a grandi opere pubbliche e combattè duramente i mercanti di schiavi.  Nella sua opera di giustizia e di pace, Ismail si valse della collaborazione di due europei: il colonnello inglese Gordon e l’esploratore italiano Romolo Gessi.

Era quello il tempo in cui si stava affermando sempre più in Africa la potenza inglese, ed era naturale che anche il Sudan facesse parte delle sue mire. Nel 1885 le truppe inglesi sostituirono quelle  egiziane su tutto il territorio, e cominciò per il Sudan un altro periodo di sottomissione, più duro di quello dei vicerè egiziani.

Il popolo era stanco di essere sottoposto agli interessi ed allo sfruttamento dello straniero, ed aspettava solo la buona occasione per ribellarsi.

Chi diede  fuoco alle polveri della rivolta fu Mohammed Ahmas ibn Fahal, chiamato il Mahdi, cioè “inviato del Signore”. Egli seppe galvanizzare l’entusiasmo popolare, e raccolse in breve tempo migliaia di seguaci. La lotta esplose violentissima ed in poco tempo  gli  inglesi vennero cacciati. I seguaci del Mahdi esultarono, il Sudan era ormai un paese libero. Ma durò poco;  dopo qualche tempo il Mahdi rimase colpito da una misteriosa malattìa che lo condusse alla morte e le file  dei suoi seguaci si disorganizzarono. L’Inghilterra, approfittando della situazione, passò al contrattacco ed alla guida del generale sir Herbert  Kitchener le truppe britanniche riconquistarono tutto il Sudan.

Nei primi 40 anni del XX secolo, il Sudan fece parte delle colonie britanniche, ma le qualità del suo popolo si imposero agli stessi  inglesi che concessero via via ai sudanesi sempre più libertà.

Poco prima della seconda guerra mondiale fu fondato un Congresso Generale, cioè una specie di Camera con il compito  di amministrare gli affari del paese; ad essa furono ammessi anche i rappresentanti delle popolazioni indigene. Quando raggiunsero una sicura maggioranza, essi chiesero al governo inglese di poter avere la loro completa libertà; nel 1953 l’Inghilterra promise  che entro 3 anni avrebbe concesso la piena autonomia.

Nel 1956, infatti, i sudanesi ripresero finalmente la guida del loro stato. Acquistata l’indipendenza, il Sudan si dette una nuova Costituzione ed un diverso ordinamento amministrativo. Il paese fu diviso in 9 provincie: Khartoum, Cassala, Nord, Darfur, Kordofan, Nilo Azzurro, Alto Nilo, Bahr el Ghazal, Equatoria.

I primi tempi di vita del nuovo stato furono un po’ agitati e videro piano piano l’affievolirsi di quel Partito Unionista  che  era stato il principale artefice dell’indipendenza. Si costituì invece una maggioranza con il Partito Umma ed il Partito Democratico del Popolo  e questa maggioranza prese il potere sotto la presidenza di Abdullah Khalil. Nelle elezioni generali del febbraio-marzo 1958 questo  assetto fu riconfermato. Ci furono, comunque,  aspre lotte di potere fra i partiti ed un certo irrigidimento delle popolazioni meridionali. Di ciò approfittarono i militari  per portare a compimento il 17 novembre 1958 un colpo di stato che servì a formare un governo extra-partiti presieduto dal generale Ibrahim Abboud. La Costituzione  fu sospesa ed il Parlamento sciolto.

Questo governo militare registrò alcuni successi ma ebbe l’ostilità della burocrazia. Nel meridione i ribelli continuarono le  loro dimostrazioni, specialmente quando nel 1964  furono espulsi alcuni missionari stranieri. L’Organizzazione Anya Nya, composta appunto dai ribelli del sud,  infastidì tanto il governo che cominciò a farsi strada l’idea di concedere al sud l’indipendenza richiesta. Questo progetto non riscosse l’adesione del nord  che si ribellò e fece  cadere il governo militare.

Dopo l’elezione di  un governo provvisorio misto, si ebbero le elezioni del giugno 1965 che non furono sufficienti  a dare al paese la stabilità. Si ebbe così ancora un governo di coalizione che non andò molto lontano ed alla fine prevalsero i moderati e nel luglio 1966 si ebbe un governo presieduto da Sadiq al-Mahdi, pronipote del fu “inviato del Signore”.

Nel marzo 1969 altro colpo di stato, altro governo, altro capo: Giafar en-Numeiri. Sospesa di nuovo la Costituzione e sciolto di nuovo il Parlamento, si proclamò la Repubblica Democratica del Sudan, ispirata al socialismo;  si allontanarono dalle cariche statali tutti gli elementi del passato regime e si iniziò un altro periodo storico, con la concessione dell’autonomia alle regioni meridionali.

Si portò avanti un progetto di federazione con l’Egitto e la Libia ed a questo proposito nacque una rivolta militare, ben presto domata, che provocò dure repressioni.  Le quali ebbero ripercussioni  sulla politica estera in quanto si registrò  un riavvicinamento all’occidente ed agli stati arabi.

Il maggior successo del governo si ebbe quando nel 1971 ad Addis Abeba fu firmato un accordo di  pacificazione del sud che portò poi nel 1973  a libere elezioni con la creazione di una Assemblea regionale meridionale e di una nuova Costituzione.
Nel marzo 1974 tutti i detenuti politici furono liberati, come conseguenza di una distensione interna, nata malgrado le difficoltà economico-sociali del paese.

Nell’aprile del 1977 en-Numeiri fu confermato presidente e nell’aprile 1978 si ebbe la firma di un definitivo accordo di conciliazione nazionale fra il governo e tutti gli oppositori. Negli anni 80 Numeiri si trovò a dover fronteggiare pressanti situazioni negative e fu costretto a rivolgersi all’Egitto ed agli Stati Uniti. Nell’ottobre 1982 firmò una “Carta d’Integrazione” per la promozione di alcune istituzioni comuni fra Sudan ed Egitto. Poi fu rieletto nel 1983 con larga maggioranza e nell’agosto 1984 dovette affrontare sia la richiesta degli integralisti islamici che volevano una legislazione coranica, sia i movimenti insurrezionali del meridione in larga misura  cristiani.

Nell’aprile 1985 un altro colpo di stato militare portò al governo Sawwar al-Dahab. Questi subito nel 1986 dichiarò  decaduti tutti gli accordi fatti con l’Egitto e formò un governo misto con la partecipazione pure del Fronte Nazionale Islamico. Primo Ministro fu Sadiq el-Mahdi; il nuovo governo fu costretto ad affrontare subito tre gravi problemi: la crisi economica con il forte indebitamento estero; il rinnovarsi delle ribellioni  al sud e le opposizioni degli altri membri verso le pretese degli islamici. E mentre si cercava di risolvere questi problemi, nel giugno 1989 un altro colpo di stato, guidato dal generale Umar Hasan Ahmad al-Basir, rovesciò il governo.

Furono subito sciolti tutti i partiti, si aumentò  la partecipazione all’islam e nel 1990/91, in occasione della Guerra del Golfo, fu dato ampio consenso a Saddam Husayn.

Nell’ottobre 1993 al-Basir fu confermato al governo ma la situazione interna vide il perdurare delle difficoltà nei  diversi settori.
In politica estera, gli Stati Uniti, pur inserendo il Sudan nella lista dei paesi terroristici, non contrastarono mai il governo di al-Basir per non complicare le cose nella zona del Mar Rosso.

Nelle regioni  meridionali, privi di aiuti esterni, si placarono le ribellioni anche in virtù di una revisione del 1994 relativa agli accordi precedenti.

Nell’aprile 1995 si accentuarono le polemiche con l’Uganda, sempre per il meridione del Sudan, ma si stabilirono migliori e privilegiate intese con la Libia e con l’Iran.
 
Le rivalità e gli scontri armati fra nord e sud proseguirono; nessun tentativo era riuscito a riportare la pace nel paese. A Nairobi, in Kenya, si erano avuti dei colloqui fra le parti, ma senza successo. Nel 1994 era stato operato persino un rimpasto di governo che aveva dato maggiore forza al Fronte Nazionale Islamista, capeggiato da Hasan al-Turabi.

Nel marzo del 1996 si svolsero le elezioni legislative e presidenziali. Al-Basir fu confermato col 75,7% dei voti ma anche il Fronte Nazionale Islamista ebbe un discreto successo e al-Turabi fu eletto  presidente dell’Assemblea nazionale. Nel corso dell’anno successivo, i ribelli del sud intensificarono la lotta armata conquistando anche strategiche posizioni al nord.

Però, incominciò ad intravvedersi qualche speranza di successo, nel maggio 1998, allorché si ristabilirono i colloqui, sempre a Nairobi. Fu siglata, nel maggio stesso, una intesa per la quale si preparò un referendum popolare per l’autodeterminazione del sud. Per questo avvenimento, però, non venne precisata alcuna data. Sempre in quel mese venne proposto un altro referendum, per una nuova Costituzione che consentisse ampia libertà di espressione, di culto e di associazione politica. Solo nel gennaio del 1999 venne garantita la libertà politica, mediante una legge che, però, non fu ritenuta adeguata alle necessità del paese.

Ma in generale la situazione non migliorò al sud, dove la popolazione era ancora sottoposta a miserie e vessazioni di ogni genere. Il conflitto armato riprese.

Le Nazioni Unite, intervenute nel corso degli anni 1998 e 1999 per rilevare l’effettiva condizione della regione, dichiarò che oltre due milioni di persone lì vivevano ai limiti della sopravvivenza. In maggior numero erano le etnie dei Dinka e dei Nuba; questi ultimi, di fede musulmana, erano confinati sui monti a sud di Khartum ed erano sicuramente i più martoriati.

In politica estera, il Sudan fu avversato dal mondo occidentale, specialmente dagli Stati Uniti, primo perché ritenuto il massimo fomentatore del terrorismo islamico ed internazionale; poi perché in occasione della Guerra del Golfo, si era schierato a favore dell’Iraq.

Inoltre, si rese inviso anche all’Egitto che lo accusava di essere il mandante dell’assassinio di M. Mubarak, presidente egiziano, ad Addis Abeba nel giugno del 1995.

Infine Y. Museveni, presidente ugandese, accusava il Sudan di voler distruggere l’identità culturale dell’Africa nera ed a questo scopo fornì il suo appoggio all’Armata per la Liberazione del Popolo del Sudan, che da tempo tentava di impedire l’espansionismo arabo ed islamico.

E proprio per la convinzione radicata negli Stati Uniti che il Sudan, insieme all’Iran e l’Afghanistan, fosse la fucina internazionale del terrorismo islamico, il presidente americano Bill Clinton, ordinò che venisse bombardata a  Khartum l’industria farmaceutica SHIFA, accusata di fornire ai fondamentalisti le armi chimiche che erano servite loro per gli attentati alle ambasciate statunitensi di  Nairobi e Dar al-Salam, del 7 agosto 1998. Il bombardamento fu portato a termine il 20 agosto del 1998.

Invece migliorarono i rapporti con l’Egitto che nel febbraio 1998 ripristinò pure gli scambi commerciali sul Nilo.

E nel luglio del 1999, dopo 15 anni di una estenuante guerra civile, al-Basir dichiarò che il governo era disposto a trattare con i ribelli del sud. I colloqui iniziarono a luglio e sempre a Nairobi.

Verso la fine di quello stesso anno si ebbe uno scontro ai vertici dello stato fra al-Basir e al-Turabi, suo sostenitore ma anche convinto ideologo fondamentalista. E a dicembre al-Basir dichiarò lo stato d’emergenza, sciolse il Parlamento e diede l’avvio ad un nuovo governo, questa volta  formato esclusivamente da elementi a lui fedelissimi.