SLOVENIA

Storia

I primi abitatori della regione, provenienti dalle pianure danubiane, furono gli Sloveni, che crearono il territorio storico della Slovenia, regione montuosa della Jugoslavia nord-occidentale. Essi erano stati schiavi degli  Avari  ed erano fuggiti dall’Italia al passaggio dei Longobardi. Si spostarono verso ovest e risalirono la valle della Sava e mano mano che la loro migrazione procedeva, si sottrassero sì al giogo degli Avari, ma entrarono nella sfera di influenza dei popoli germanici. E così rimasero fino al 1918.

Già nel VII secolo furono sotto il dominio di un re franco, Samo, che li riunì sotto un regno indipendente, rimasto in   piedi anche dopo la sua morte.

Poi furono sottomessi dai Bavari e dai Magiari e poi ancora, dall’XI al XIII secolo, furono dominati da signorìe tedesche minori, fra le quali gli Andechs-Merano, i conti di Gorizia, il Patriarcato di Aquileia ed i Babemberg che si affermarono di più nei territori centro-settentrionali.

Poi essi estesero la loro influenza anche nei territori meridionali che, passando alla Corona degli Asburgo, decretarono il passaggio automatico degli sloveni alla Casa d’Austria. E con le fasi storiche di questa Casa procedette la storia del popolo sloveno.

Nel 1521 Carlo V divise l’impero e le regioni slovene seguirono le sorti dell’Austria interna con centro a Graz. Dal 1783 al 1809 furono sotto l’amministrazione diretta della Cancelleria di Vienna.

Dal 1809 al 1813 furono sotto il governo di Napoleone delle “Provincie Illiriche” con sede a Lubiana. Nel 1814 tornarono all’Austria, sotto il regno di Illiria, e così fino al 1849.

Il popolo sloveno, formato esclusivamente da contadini, senza ceti medi o alti, non ebbe mai alcuna partecipazione alle vicende alterne di tutti i passaggi di proprietà che subirono. Solo verso il 1848 cominciarono a scorgersi i primi piccoli segni di un risveglio della coscienza nazionale. Ma fu solo in campo letterario e lì rimasero, nonostante le sollecitazioni provenienti dall’ambiente esterno. E tutto ciò perché il popolo, ignaro ed ignorante, era convinto che il suo interesse era solo quello di essere guidato da un potente imperatore d’Austria. E lo stesso atteggiamento passivo lo tennero anche alcuni deputati sloveni al Parlamento austriaco nel 1917. E questi, il 30 maggio 1917, dichiararono ufficialmente, per mezzo di Antonio Korosec, loro portavoce, che la loro massima aspirazione era quella della unificazione sotto la monarchia delle terre abitate da Sloveni, Croati e Serbi sotto lo scettro degli Asburgo-Lorena.

Con la fine della prima guerra mondiale, invece, si ritrovarono aggregati, Sloveni e Croati, allo Stato Serbo di Jugoslavia, sotto lo scettro dei Karagjorgjevic.

Nessun avvenimento degno di nota si rilevò nell’arco degli anni che passarono fino ad arrivare allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando anche questo paese si trovò coinvolto nelle conquiste tedesche e la Jugoslavia in breve tempo subì la disgregazione.

E così nel 1941 la Slovenia si trovò divisa in due parti: quella settentrionale, più ricca di industrie e di miniere, fu annessa alla Germania, la quale ne divise il territorio fra la Stiria e la Carinzia; quella meridionale, come provincia di Lubiana, fu annessa all’Italia e questa era prevalentemente agricola e boschiva. E qui fu messo a gestire il potere un Alto Commissario, assistito da una Consulta. Fu tenuto conto del carattere sloveno delle popolazioni con il mantenimento delle loro norme di vita. Nelle scuole si continuò ad insegnare sloveno mentre gli atti ufficiali furono redatti anche in  italiano. Il servizio militare non fu reso obbligatorio. Il primo Alto Commissario nella zona fu Emilio Grazioli, ex Federale di Trieste.

In questa parte confluirono molti sloveni attratti principalmente dalla libertà di lingua ed amministrativa che veniva concessa, oltre ad una certa autonomia. Mentre nella parte tedesca erano sorte due nuove provincie: che furono la Stiria meridionale e la Carinzia meridionale, dove fu avviato un processo di completa germanizzazione.

Ma quando entrò in guerra l’Unione Sovietica, in Slovenia si creò un movimento di resistenza, il Fronte di Liberazione, contro gli invasori, ad opera dei comunisti.  Molti sloveni non si dimostrarono favorevoli alla resistenza, preferendo gli occupanti ai comunisti. Così molti di loro, specialmente cattolici, finirono nelle famose “foibe”, ossia buche profonde scavate nel terreno, trucidati dai loro stessi connazionali.

A Lubiana si trovava il Comando Generale della 2° Armata Italiana, da qui partivano tutte le direttive militari e politiche fino al Montenegro. Queste non riuscirono a debellare il Fronte di Liberazione, ma non aumentarono nemmeno il numero dei  simpatizzanti che, dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia firmò l’armistizio separato con gli Alleati, si trovarono senza guida e senza difesa, totalmente nelle mani dei tedeschi. E questi, con i loro metodi crudeli e violenti, fecero chiaramente capire agli sloveni che la resistenza sarebbe stata la loro unica via di salvezza. Molti strati della popolazione andarono via dal territorio per aggregarsi alla resistenza jugoslava. Furono i migliori collaboratori di Tito. I collaborazionisti invece fuggirono parte in Austria e parte in Italia.

Dopo la vittoria, nel maggio 1945, con la riconquistata libertà si reistituì una organizzazione federale.

Il primo avvenimento degno di nota nella modesta storia del popolo sloveno, fu la Costituente del 30 novembre 1946. Con essa si approvò lo Statuto modellato su quello delle altre sei repubbliche federali jugoslave. Tutti i territori anteguerra tornarono alla Slovenia, dove la popolazione, seria e laboriosa, continuò ad operare per il progresso e lo sviluppo industriale. Marburgo fu uno dei più importanti centri, anche per la costruzione di una grande centrale idroelettrica, nata per sfruttare le acque della Drava e fornire energia elettrica a tutta la regione occidentale.

Accanto all’industria ebbe grande sviluppo l’agricoltura che rese la Slovenia la più ricca delle repubbliche federali jugoslave. Grande importanza, per una serie di impianti idroelettrici, assunse la zona di Maribor. La stessa cosa non si potè dire della regione Carsica.

E con la collocazione del Federalismo Jugoslavo si giunse alle soglie degli anni ottanta quando in Slovenia gli stessi comunisti cominciarono a coltivare idee e sentimenti diversi  da quelli federativi, con l’intento di rilanciare l’economia slovena che, da ricca che era, stava vegetando in una posizione di stallo. Inoltre la popolazione si identificava di più nel carattere austro-germanico che in quello balcanico, per cui iniziarono le richieste al governo centrale di una liberalizzazione politica. E per questo nacquero dei partiti come la Lega Contadina Slovena, che si registrò nel 1988 come associazione nell’ambito dell’Alleanza Socialista.
Ancora altre organizzazioni nacquero finchè nel 1989 il Parlamento approvò una legislazione multipartitica. Man mano che si procedeva in questo senso, veniva meno il sentimento federalista che fino ad allora aveva animato il popolo sloveno che, ora, desiderava essere indipendente.

Nel gennaio 1990 ci fu un Congresso della Lega dei Comunisti di Jugoslavia che abolì il ruolo guida della Lega stessa e la Slovenia fondò il Partito del Rinnovamento Democratico.

Nell’aprile del 1990 si svolsero le prime elezioni che furono vinte da una coalizione di sei partiti fra i quali l’estrema destra nazionalista, i verdi ed i socialdemocratici. Contemporaneamente le elezioni presidenziali furono vinte da M. Kucan, che nel luglio 1990 dichiarò la sovranità della Slovenia accelerando il processo separatista.

Nel dicembre 1990 si ebbe il referendum sull’indipendenza e nel giugno 1991 la proclamazione dell’indipendenza stessa.
Ma la Jugoslavia reagì e fra giugno e luglio  si ebbe uno scontro militare, presto però concluso, poiché il 10 luglio a Brioni fu firmato un compromesso con il quale si stabiliva il “cessate il fuoco” ed una attesa di 3 mesi per la proclamazione dell’indipendenza.

Quando nell’ottobre le forze armate jugoslave si ritirarono, fu chiara l’accettazione della Slovenia stato indipendente. Subito si sostituì il dinaro con il tallero e nel dicembre fu varata una nuova Costituzione Repubblicana.

Nell’aprile 1992 in Parlamento fu iniziato un dibattito tendente ad istituire la privatizzazione delle aziende e la restituzione delle proprietà agli antichi detentori. La fiducia venne meno al governo che fu sostituito da una coalizione prevalentemente di centro, guidata da J. Drnovsek.

Le prime elezioni politiche e presidenziali si ebbero a dicembre 1992. Kucan fu confermato presidente della repubblica mentre il Partito Liberal Democratico risultò al primo posto. Il nuovo governo fu di coalizione con la Lista Unita, organizzazione di sinistra.

Sul piano dell’economia, dopo l’indipendenza, si registrò un forte calo nelle esportazioni verso i mercati jugoslavi, e nemmeno l’aumentato traffico verso quelli di Austria e Germania potè esimere la Slovenia da una forte regressione, che toccò anche la produzione industriale. Aumentarono l’inflazione e la disoccupazione.

Difficoltà di rapporti si ebbero con la Croazia ma anche con l’Italia, che pretendeva la restituzione di alcune proprietà rimaste in terra slovena, dopo il ridisegno dei confini, alla fine della guerra. Queste difficoltà col governo italiano furono presenti ancora nel 1994.

Ma intanto nella seconda metà del 1993 si scoprì un ingente traffico di armi, destinate alla Bosnia, sul territorio sloveno. Nello scandalo risultarono coinvolti Kucan e Drnovsek ed anche il Ministro della Difesa J. Jansa che nel marzo del 1994 si dimise.
 
In questo stesso periodo i liberal-democratici, insieme ad altri partiti minori, fondarono la Liberaldemocrazia Slovena, che subito divenne la forza principale del governo. Immediatamente nacquero dei contrasti con i cristiano-democratici, tanto forti che provocarono le dimissioni di L. Peterle, Ministro degli Esteri, nel settembre del 1994.

Contemporaneamente andò via via aumentando una certa tendenza al nazionalismo esclusivo che mal sopportava la presenza delle eteìe di marca jugoslava ed addirittura veniva richiesto un referendum per approvare una legge che privasse della cittadinanza slovena i bosniaci colà residenti.

In campo internazionale la Slovenia ebbe da risolvere alcuni problemi con l’Italia, sorti durante il governo Berlusconi, e relativi alle proprietà non restituite degli esuli italiani.

Anche con l’Unione Europea si erano aggiunti dei contrasti  ma, proprio con la mediazione del governo italiano, Kucan riuscì a portare la Slovenia ad un accordo associativo, firmato il 10 giugno 1996.

Anche all’interno Kucan riuscì a portare la legislatura a compimento, nonostante l’abbandono dei socialdemocratici, fino al 10 novembre 1996, quando le elezioni assegnarono la vittoria alla Liberaldemocrazia Slovena. Solo nel febbraio del 1997 Drnovsek potè costituire il nuovo governo, formato dalla Liberaldemocrazia Slovena, dal Partito del Popolo Sloveno e dal Partito dei Pensionati. Ma anche fra loro sorsero dei contrasti in quanto, mentre i primi  proponevano la liberalizzazione del mercato, gli altri, conservatori, mettevano in discussione persino l’entrata nell’Unione Europea.

Comunque, nel rispetto dell’accordo firmato con l’Unione Europea a suo tempo, i liberaldemocratici, nel luglio 1997, portarono un emendamento all’articolo 68 della Costituzione, e questo per rivedere e correggere le norme che regolavano le proprietà degli stranieri in Slovenia. Ciò portò ad un netto miglioramento delle relazioni con l’Italia, la quale si attivò per mediare l’ingresso all’Unione Europea ed alla NATO della Slovenia e poi, insieme all’Ungheria, diede vita ad una intesa Trilaterale, del 23 ottobre del 1996, per una ampia collaborazione nei diversi settori.

Ma in politica internazionale esistevano forti diatribe, specialmente con Zagabria, per i confini terrestri, di cui i due terzi ancora in contestazione. Inoltre la Slovenia, proprio a causa dei mai definiti propri confini, doveva rinunciare al rafforzamento del porto di Capodistria, per non incorrere nell’abusivo attraversamento delle acque territoriali sia italiane che croate.

Ed ancora questioni finanziarie relative ai depositi  dei cittadini croati nella Banca di Lubiana, congelati dal governo sloveno.
Durante tutto l’arco dell’anno 1998 i nazionalisti al governo tentarono in tutti i modi di supportare gli interessi nazionali su quelli comunitari, ritardando così l’ingresso del paese in Europa.

Molti furono i cambiamenti ai vertici del governo ma, complessivamente, nel 1999, anche dopo l’introduzione della tanto temuta imposta sul valore aggiunto, l’economia slovena non subì grossi contraccolpi. Ciò che invece incise negativamente fu il conflitto nel Kosovo, nel quale, come membro dell’Unione Europea, dovette sostenere i bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia, anche in vista di un futuro strategico ingresso della Slovenia nell’Alleanza Atlantica.