LIBANO

Storia

Ciò che fece famoso nell’antichità il Libano furono senza dubbio le sue foreste di cedri, tanto necessarie per la produzione di quel prezioso legname con cui, a quei tempi, sia i fenici che gli egiziani, portavano avanti le loro costruzioni.

Sin dalle prime dinastie dei faraoni si inviarono spedizioni in Libano per l’approvvigionamento di questo legname. Perciò le navi egiziane furono costrette a toccare le coste fenicie e di conseguenza ad assoggettarne le città. Dalle quali, poi, i fenici stessi presero l’avvìo per il Libano da cui, ma in minima parte, si rifornirono anche del ferro. Molta della prosperità delle città fenicie derivò proprio dal possesso delle foreste libanesi.

Ma per i fenici  il Libano ebbe anche grande importanza dal punto di vista religioso. Infatti, in quel paese era sorto il culto del “Ba-Al del Libano”, “Ba-Al” voleva dire  “Signore”. E questo, appunto, fu l’attributo dato ad alcune divinità locali, ed era diverso in ogni città. Questo culto, più tardi, fu portato  a Cartagine dai coloni di Tiro.

A Tiro si chiamò “Ba-Al Melquart” e a Sidone “Ba-Al Esmun”.

Il Libano, pur essendo strettamente legato alle vicende dei fenici, fu dominato dai persiani, dai macedoni, dai seleucidi, dai tolomei e dai romani.

Data l’impraticabilità del suo territorio, però, i sovrani che lo dominarono, almeno nominalmente, non lo abitarono mai così la sua popolazione si mantenne sempre aramaica, cioè fenicia, ed iniziò, qualche tempo prima dell’arrivo dell’islam, a contare elementi nomadi arabi, provenienti dal deserto siro-arabico. E proprio per la sua difficoltosa natura il Libano non fu mai invaso dagli arabi, subito dopo che questi ebbero completato la penetrazione della Siria. Lo fecero però più tardi, sobillati anche dai bizantini che li consideravano alleati adatti per combattere contro l’arrivo dell’islam.

Nell’VIII secolo il Libano fu l’asilo ideale per i  profughi di tutte le etnìe e di tutte le confessioni religiose.

E la confessione cristiana dei Maroniti, dipendente dal Patriarca di Antiochia, ebbe qui un notevole sviluppo ed assunse, più tardi, quando si unì alla Chiesa di Roma, un ruolo molto importante nella civiltà arabo-cristiana.

Poi nel Libano prese il sopravvento l’islam e verso la fine del X secolo fiorì l’eresìa ultra sciita dei drusi, una minoranza islamita che si rifiutò di riconoscere la Sunna, appendice del Corano, e che si chiamarono “sciiti” da “scia”, che vuol dire divisione. Altre sette religiose si aggiunsero poi a quelle fin lì esistenti ed in Libano trovarono asilo anche gli Assassini, fanatici islamiti che per un nonnulla uccidevano il prossimo a pugnalate. Essi furono seguaci di Hassan-Ben-Sabah, persiano fondatore della setta nell’XI
secolo. Egli portava i suoi seguaci ad un forte stato di esaltazione facendo loro bere un liquido inebriante, chiamato “haschich”; per questo furono chiamati “haschinschin”, quindi, per assonanza “assassini”.

All’epoca delle Crociate nel Libano settentrionale si  stabilirono i Crociati costruendo delle salde fortezze, come il “Forte dei Curdi”, rimasto poi in possesso dei Cavalieri di San Giovanni fino al 1271.  Essi fondarono degli stati feudali sulla costa della Siria, ove applicarono la dominazione latina.

Nel secolo XVI i latini vennero detronizzati dai sultani Mamelucchi, militi turco-egiziani, e sotto di loro il Libano potè godere di un periodo piuttosto tranquillo.

I maroniti avevano il dominio della zona settentrionale, gli emiri Tanukh di quella meridionale e Beirut, ed alle pendici occidentali presiedeva  la dinastia dei Banu Ma’n,  il cui principale rappresentante Fakhr Ad-Din si  ribellò agli ottomani, chiese aiuto alle varie corti europee, fra cui quella del Granducato di Toscana, e, benchè druso, favorì sempre i cristiani.

Il suo tentativo di liberare il Libano fallì ma l’influenza dell’occidente fu sempre presente in Libano, portata avanti dai maroniti, che avevano rapporti con la Chiesa romana.

Decaduta la dinastia dei Banu Ma’n si insediò quella dei Banu Shihab. L’emiro di quest’ultima, Bashir, provò, all’inizio del XIX secolo, ad unificare il Libano ma i turchi glielo impedirono, poi lo esiliarono nel 1840 e per altri 20 anni rimasero padroni del paese.

E nel 1860 si acutizzarono le lotte fra maroniti e drusi, tanto che la Francia dovette intervenire. Fece sì che il Libano ottenesse una certa autonomia e che fosse guidato da un capo cattolico, nominato dai turchi ma autorizzato dalle altre forze europee. E questo fu il primo passo verso una  più vasta penetrazione europea, specialmente francese, che favorì non solo lo sviluppo di altri gruppi etnici ma, con l’esodo di molti cittadini verso l’America, fece sì  che in seguito entrassero in Libano correnti libertarie e nuovi aneliti di libertà.

Allo scoppio della prima guerra mondiale nel Libano i cristiani si trovarono in minoranza. E quando la guerra si concluse con la vittoria della Triplice Intesa, l’impero ottomano si sfasciò completamente ed il Libano ebbe la Costituzione il  1° settembre 1920 e divenne “Stato del Grande Libano”, sotto mandato francese.

Nel maggio 1925 il nome dello stato cambiò in Repubblica Libanese. Ma non ebbe periodi di grande pace interna.

Dopo la seconda guerra mondiale partecipò, con altri  stati arabi, ad ostacolare la formazione di uno stato libero israelitico. Ciò non riuscì ed il Libano guadagnò soltanto una  profonda avversione da parte dello Stato di Israele.

Alla base di contrasti interni ed esterni si ebbero le rivalità tra grandi complessi petroliferi: a Tripoli di Soria, in Siria, fu fatto arrivare lo sbocco di un oleodotto dell’Iraq Petroleum Oil Company.

Il 14 febbraio 1951 si costituì un nuovo Gabinetto in seguito  alle dimissioni di Riyad Al-Sulh; il successivo 7 giugno si costituì un nuovo governo con la presidenza di Abdullah El-Yaffi.

Il 18 settembre 1952 si verificò un colpo di stato socialista, promosso dal generale  Fuad  Shebab, che determinò le dimissioni del  presidente Bechara El  Khuri, in carica dal 1943 e l’elezione in suo luogo di Camillo Chamoun, cinque giorni dopo.

Il 9 ottobre 1952 il Parlamento affidò pieni poteri, per sei anni, al governo presieduto da Khaled Chebab.

Il paese mantenne buone relazioni con gli stati arabi e quando nel 1954/55 fu firmato il Patto di Bagdad il Libano, però, si trovò in difficoltà per aver tentato di fare da paciere fra quello e la Lega degli Stati Arabi.

Con la Repubblica  Araba Unita le relazioni furono particolarmente strette ed i rispettivi presidenti nel marzo e nel giugno 1959 firmarono al Cairo un accordo economico. Un problema economico pressante era  in Libano rappresentato  dai numerosi profughi palestinesi che, come tali, implicarono anche difficoltà politiche. Il 26 agosto 1959 il segretario generale delle Nazioni Unite propose la definitiva sistemazione di  questi palestinesi in Libano, ma la Camera Libanese respinse la proposta augurando agli interessati di potersene tornare alle loro case.

Fra il 1958 ed il 1959 si erano verificati  diversi incidenti all’interno del paese. Si ritornò alla calma quando, dopo aver ampliato i seggi del governo e della Camera, nel giugno-luglio 1960 si ebbero nuove elezioni.

Nel 1961 si dovettero fronteggiare prima una crisi con l’Egitto per avere dato asilo a profughi siriani e poi un colpo di stato che,fallito, si concluse con l’arresto e la condanna dei fautori.

Una certa tensione tornò  nel 1964 quando  il presidente Shihab non ripropose la sua candidatura. Invece tutto fu tranquillo e si elesse Charles Helu. Poi però questa serenità fu turbata nel 1965 da incidenti con Israele a causa di azioni di rappresaglia condotte da guerriglieri.

Nel gennaio 1966 il governo di Karamah decise di risolvere una volta per tutte il problema dell’organizzazione amministrativa e giudiziaria dello stato. La conduzione di queste trattative fu particolarmente dura e 150 magistrati dovettero lasciare la loro carica. Poco dopo il governo Karamah cadde.

Gli successe Abdallah el-Yafi, che si trovò subito in gravi difficoltà finanziarie. Una grande sfiducia nel sistema bancario libanese, che pure era il maggiore componente dell’economia dello stato, provocò la chiusura dell’Intra Bank nell’ottobre. El-Yafi fece intervenire il governo in difesa dei risparmiatori e degli imprenditori  ma nel dicembre si dimise e tornò al governo Karamah.

Allo scoppio del conflitto Israele-Egitto nel 1967, il Libano si schierò nettamente dalla parte dei paesi arabi. L’anno successivo a marzo si svolsero nuove elezioni in cui prevalsero tre diversi partiti che non portarono ad una chiara maggioranza. Nello stesso 1968, essendosi verificata una recrudescenza della resistenza palestinese, il Libano si trovò sotto il fuoco di fila della rappresaglia israeliana e quando alcuni guerriglieri  attaccarono un aereo israeliano nell’aeroporto di Atene, l’aviazione israeliana attaccò quello di Beirut distruggendo con le bombe quasi tutti gli aerei di linea libanesi.

Il governo, capeggiato da El-Yafi, fu accusato di incapacità perciò si dimise ed il premier fu sostituito il 20 gennaio 1969 da Rashid Karamah.

La solidarietà del Libano con la resistenza palestinese, portò nel paese ancora un problema di vaste proporzioni, che implicava i rapporti fra maroniti e musulmani. I primi favorevoli ad una politica moderata verso Israele ed i secondi invece più propensi ad appoggiare la guerriglia. E poiché i musulmani erano in netta prevalenza sugli altri,  nella primavera-estate del 1969 guerriglieri siriani riuscirono ad infiltrarsi e crearono nuove basi da cui partirono altri attacchi ad Israele, che subito replicò con rappresaglie.

Si era sull’orlo della guerra civile che fu evitata a malapena  dalla firma, il 2 novembre, fra il capo dell’esercito libanese e Yasir Arafat, di un accordo con cui i palestinesi accettavano di limitare la loro guerriglia ad alcune zone designate. Nonostante tutto anche nel 1970 la situazione fu critica. Nell’agosto di quell’anno scadeva il  mandato di Helu e gli successe Suleiman Farangiyyah che affidò il governo a Sa’Ib Sallam.  Questi iniziò subito una politica di distensione e tolse, come primo provvedimento, la censura alla stampa. Poi tolse il bando ad alcuni partiti estremisti ma anche così, nel 1971, il paese fu dilaniato da  scioperi, manifestazioni dei lavoratori per il carovita e per la crescente disoccupazione, disordini manovrati da studenti e dalle opposte fazioni della popolazione.

Nuove elezioni nel 1972 privilegiarono le sinistre. Nello stersso tempo la Giordania aveva espulso i guerriglieri palestinesi dal suo territorio e quelli si erano trasferiti in Libano, per cui le rappresaglie israeliane aumentarono e le popolazioni dei villaggi meridionali, i più colpiti,  chiesero un maggiore controllo da parte dell’esercito.

Poi ci fu la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco e la inevitabile rivalsa  portò a settembre molte perdite per l’esercito libanese che fu costretto ad attaccare alcune basi della resistenza palestinese.

Nel febbraio 1973 ancora azioni armate da una parte e dall’altra costrinsero il governo a dimettersi. La tensione aumentò, gli attacchi pure, ed i paesi  arabi in massa dovettero intervenire per instaurare una tregua in modo che si potesse procedere ad un nuovo accordo. Con questo fu sancito che i profughi palestinesi sarebbero stati disarmati, proibiti gli addestramenti in territorio libanese così come gli attacchi ad Israele.

Intanto però le manifestazioni dei musulmani sunniti continuarono. Le loro richieste di poter accedere in maggior numero al governo furono esaminate quando nel 1974  il nuovo premier Taqi ed-din Solh propose una riforma, appunto, della distribuzione delle cariche. La reazione dei maroniti fu immediata. Anche i musulmani sciiti meridionali fecero le stesse richieste dei sunniti, minacciando rivendicazioni armate sia contro Israele che contro lo stesso Libano.

Agli inizi del 1975 la situazione era gravissima: molti furono gli scontri fra le diverse fazioni senza che i paesi arabi fossero in grado di fermare le lotte e di riportare la tregua. Quando la Siria decise di intervenire, fu creata una “forza di pace” che, comunque, non potè evitare la guerra del 1978 fra maroniti, siriani e palestinesi a Beirut e nel Libano meridionale.

Il Libano era dominato da tensioni e confusioni. Nel 1978 ai confini con Israele fu creata una “fascia di sicurezza” ed anche le Nazioni Unite stabilirono nel sud un  presidio di Forza Multinazionale. Tuttavia, nonostante gli sforzi di tutti, Israele mise a ferro e fuoco il Libano dal 1982 al 1985 e non rinunciò mai alle posizioni acquisite.

Nel 1988 il presidente al-Gumayyil, scadendo il suo mandato, propose come suo successore il generale M. Awn. Gli scontri continuarono ed anche il vertice della Lega Araba, tenutosi a Casablanca nel maggio del 1989, non fu capace di riportare il  paese alla pacificazione.

Dopo  vari altri interventi, fra cui quello del nunzio apostolico e l’ammistrazione degli Stati Uniti, il 26 novembre 1989 fu eletto presidente della repubblica E. Hrawi. Ciò che permise al Libano di ritrovare la via della normalizzazione fu l’invasione irachena del Kuwait. Tutte le forze impegnate in quella Guerra del Golfo, tennero ai margini il Libano che potè cominciare a fare i conti con la sua drammatica situazione. Si ricominciò a lavorare per risanare l’economia e per ricostruire e nel maggio 1992 fu chiamato a dirigere il governo Rasid al-Sulh che si assunse l’onere di preparare le successive elezioni previste per agosto-ottobre, nelle quali vennero elette anche tre donne.

Il nuovo premier Rafiq al-Hariri, nominato il  31 ottobre, quale autorevole e carismatico uomo d’affari, pose per prima cosa l’attenzione del governo sulla necessità estrema di liberare il Libano meridionale dalla presenza israeliana e procedere ad un effettivo rilancio dell’economia. La sua fermezza fu chiara allorchè nel dicembre 1992 impedì l’ingresso nel Libano a 400 deportati palestinesi espulsi da Israele. Questi furono costretti ad attestarsi nella cosidetta “terra di nessuno”, posta fra la “fascia di sicurezza” e la  zona controllata dall’esercito libanese.

Nell’aprile 1993  ci fu il reciproco riconoscimento fra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
 
Il premier Rafiq al-Hariri nell’ottobre del 1995, appoggiato dalla Siria, fece passare un emendamento costituzionale, per cui l’Assemblea Nazionale approvò la durata a 9 anni, anziché a 6, del mandato presidenziale. Egli aveva sostenuto la necessità di questa variazione per garantire la stabilità del paese che, così, poteva dedicarsi fruttuosamente alla ricostruzione.

Questa operazione era stata, però, avversata da alcuni settori politici libanesi ed etichettata come anticostituzionale e antidemocratica, anche se poi il presidente in carica  non poteva replicare la sua candidatura.

Invece il governo ne uscì rafforzato ed anche nelle elezioni politiche dell’agosto del 1996 i seggi per i candidati governativi rappresentarono la maggioranza.

Nel novembre 1996 al-Hariri fu confermato premier e continuò il suo programma di risanamento economico nazionale  coinvolgendo nella ricostruzione molte imprese private.

Egli non consentì mai la laicizzazione del paese ed impose una certa censura ai “media”, tanto che nel 1998 assunse il monopolio della televisione di stato sui notiziari.

Nel dicembre del 1998 prese le redini del governo una nuova formazione di coalizione, guidata da S. al-Hoss. Egli improntò la sua politica economica ad una più ampia liberalizzazione, allentò la censura e combatté la corruzione. A questo proposito gran parte dell’anno 1999 trascorse con una serie di processi e condanne per esponenti politici, anche di un certo rilievo.