ERITREA

Storia

Su  scritti tramandati da geografi greci ed arabi dell’antichità si basarono le prime spedizioni italiane verso il XV secolo. Nel secolo successivo si aggiunse l’azione degli esploratori portoghesi, compreso Dom Christovam De Gama, figlio del grande Vasco, che sbarcò a Massaua, trascorse lì il periodo delle piogge e poi proseguì per l’Abissinia.

Molto materiale storico e geografico si potè raccogliere per merito dei padri Gesuiti portoghesi, primo fra tutti padre Emanuele Barradas, che esplorò e descrisse molto bene tutta la zona del Tigrè.

Tra i viaggiatori che nel XIX secolo percorsero l’Eritrea per raggiungere l’Etiopia, troviamo Th. V. Heuglin che faceva parte di una spedizione comprendente anche lo svizzero W. Munzinger, l’astronomo T. Kinzelbach ed il biologo Steudner.

Egli percorse dal 1861 al 1862 tutta la regione fra Massaua e Cheren ed il Sudan e di questo itinerario ci è pervenuta una minutissima quanto preziosa relazione, accompagnata da cartine esplicative.

Anche Munzinger, divenuto poi governatore di Massaua, ci ha tramandato pregevoli documentazioni relative agli altipiani eritrei.
E, prima dell’occupazione italiana, padre Giuseppe Sapeto, che risiedette nella missione di Cheren per diversi anni, scrisse “Viaggio e missione cattolica fra i Mensa, i Bogos e gli Habab”, del 1857, col quale ci tramandò minuziose annotazioni sul luogo e sulle popolazioni.

Si sa per certo che l’Eritrea fece parte del Regno di Aksum e praticò, sulle coste, fiorenti commerci. Ma quando l’espansione per mare fu interrotta per il sorgere dell’Islam, gli Aksumiti furono costretti a spingersi verso l’interno, sugli altipiani, e per circa sei secoli rimasero lontani dal centro di Aksum, mentre sul litorale eritreo si affermarono i Musulmani.

Più tardi giunsero i portoghesi che sconfissero e cacciarono i Musulmani e strinsero un patto con il Negus dell’Etiopia, che durò fino al 1632, quando ci fu l’espulsione dei Gesuiti portoghesi dal territorio etiopico.

Indeboliti da queste guerre sia i Musulmani che gli Etiopi, l’Eritrea cadde in balìa dei Galla, un popolo di razza camitica, che si distribuirono nell’Africa Orientale. Essi, dopo aver compiuto grandi devastazioni nella zona, lasciarono il paese in mano a signorotti locali  musulmani sulle coste e di feudatari cristiani all’interno.

Dopo tre secoli arrivò un’altra  spedizione, quella inglese, comandata da sir Robert Napier; questa però proseguì il suo cammino verso l’Etiopia e l’Eritrea divenne un campo di battaglia fra musulmani egiziani e cristiani abissini (1875/76).
L’Eritrea poi cadde in mano ai Dervisci, monaci e guerrieri islamici, che cacciarono gli egiziani e poi furono a loro volta cacciati dagli italiani nel 1885.

L’Italia, dopo varie scabrose vicende politiche con l’Etiopia, occupò Asmara e Cheren e, con l’ultima campagna contro Mangascià, capo del Tigrè, condotta dal generale  Baratieri, l’Eritrea divenne colonia italiana.

Il primo governatore, Ferdinando Martini, iniziò subito una saggia e pacifica opera di sviluppo. Divise il territorio in  Commissariati Regionali; istituì un Ordinamento Giudiziario che tenne sempre presenti i diritti degli indigeni, in attesa della compilazione dei codici speciali per l’Eritrea che, ad onor del vero, non videro mai la luce.

Dopo alcuni accordi anglo-italo-etiopici, si giunse a stabilire i confini dell’Eritrea nella Dancalia, terra di origine araba (1908).
L’Italia mantenne sempre buoni rapporti con le vicine colonie inglesi e francesi. Nel 1907 a Martini successe Salvago Raggi che continuò l’opera del suo predecessore e fece costruire la ferrovia Massaua-Asmara. La colonizzazione non  si interruppe nemmeno durante la prima guerra mondiale; i lavori portarono la ferrovia fino a Cheren e, sotto il successivo governo di Gasparini, si iniziarono i lavori per portare la ferrovia fino ad Agordat. E con questo ebbero l’avvìo i vari commerci, attraverso lo sbocco sul Mar Rosso, che diedero all’Eritrea un altro volto ed un nuovo valore.

Nel quinquennio precedente alla seconda guerra mondiale, l’Eritrea ebbe un notevole sviluppo. Il traffico nel porto di Massaua andò sempre più aumentando e maggiori furono anche i commerci con la vicina penisola araba.

Gli italiani residenti in Eritrea nel 1939 raggiunsero il discreto numero di 78.000 e furono dediti principalmente al commercio ed alle industrie dei trasporti. Ma non trascurarono affatto l’agricoltura che, anzi, fece un notevole balzo in avanti dopo l’impresa agricolo-industriale, dovuta al governatore Iacopo Gasparini, che aumentò la produzione del cotone mediante la possibile irrigazione attraverso la costruita diga sul fiume Gasc.

Anche le industrie: alberghiere, dei trasporti, meccaniche, alimentari, agrarie, saline, della pesca e delle miniere, ebbero un grandissimo sviluppo.

Ed in mezzo a questo proficuo lavoro degli italiani, arrivò la seconda guerra mondiale che, l’anno successivo, vide l’occupazione del territorio da parte britannica. Quando tra marzo e giugno 1941 si completò l’occupazione di Asmara, Massaua ed Assab, l’amministrazione italiana finì ed iniziò quella inglese.

Per tutto il periodo della guerra continuò ad esprimersi la vitalità dell’Eritrea, ed anche negli anni successivi, 1943/44, gli italiani rimasti continuarono ad impiantare industrie, come calzaturifici, fabbriche di fiammiferi, lavorazioni di pellami e industrie alimentari. Poi, nell’agosto 1946, si verificarono dei  sanguinosi incidenti alla frontiera col Sudan, che destarono qualche preoccupazione nel paese; ma le aspirazioni pacifiche del popolo  eritreo, unite al sincero sentimento di amicizia degli italiani-eritrei, contribuirono a mantenere vivo il patto di cooperazione fra i due popoli.

Il 10 febbraio 1947 l’Italia dovette declinare la sua sovranità sull’Eritrea ma ne chiese l’amministrazione fiduciaria. Per risolvere il quesito furono istituite due Commissioni allo scopo di raccogliere nel paese le opinioni e le aspirazioni dei cittadini.  Non avendo ottenuto alcun chiaro responso, intervennero le Nazioni Unite che si occuparono di tutto. Ancora senza esito. Finchè nel 1950 l’Italia e l’Inghilterra, di comune accordo, presentarono un progetto di Federazione Eritrea-Etiopia, che fu approvato e, nel settembre 1952 fu ratificata la Costituzione e nel dicembre seguente l’imperatore di Etiopia visitò ufficialmente l’Eritrea.

Con la cessazione di molte attività italiane si dovette registrare un forte aumento della disoccupazione. Inoltre, essendo aumentate le tariffe doganali sulle merci provenienti dall’Etiopia, e comportando quindi un aumento di prezzo delle stesse  merci, il livello di vita dell’ex colonia italiana si abbassò molto. Perciò l’Eritrea fu costretta a chiedere aiuti esteri, rappresentanze di tecnici ed amministratori esterni, e tutto questo poco a poco ridusse di molto l’autonomia del paese.

Di più, tutte le strutture politiche e culturali furono equiparate a quelle etiopiche, cosicchè nelle scuole divenne obbligatorio lo studio della lingua amarica, ma non di quella tigrina; i partiti politici di opposizione furono fatti sparire e furono ridotte al silenzio tutte le manifestazioni di critica, sia politica che sociale. Dal maggio  1960 la voce “governo eritreo” fu sostituita da quella di “amministrazione eritrea”.

I pochi residenti italiani rimasti in Eritrea continuarono ad esercitare le loro attività, specialmente nel campo dell’amministrazione pubblica e lo stato italiano dovette cedere tutte le sue  proprietà, a titolo di risarcimento danni di guerra, mantenendo la sola proprietà di scuole, ospedali, chiese ed i locali della rappresentanza diplomatica italiana.

La Federazione andò avanti per un decennio ed in tutto quel tempo scomparvero le istituzioni eritree finchè nel 1962 l’Etiopia proclamò l’annessione del territorio. Nessuno stato estero si oppose a questo avvenimento, ciascuno pensando ai propri interessi economici e commerciali. Chi creò una netta opposizione a questo stato di cose  furono gli esponenti politici eritrei in esilio, che già da qualche anno all’estero stavano gettando le basi per ottenere l’indipendenza della loro patria.

Al Cairo era stato fondato già dal 1958 il “Fronte Eritreo di Liberazione”, che passò all’attiva lotta armata negli anni sessanta-settanta, superando anche molti contrasti fra le varie etnìe  all’interno del Fronte stesso.

Ma verso il 1981/82 una scissione provocò la fondazione di un nuovo movimento, che si chiamò “Fronte Popolare di Liberazione dell’Eritrea”, con indirizzo progressista-socialista-marxista.
Questo Fronte continuò la lotta e nel 1988 prese il sopravvento sulle forze etiopiche.

Questa fu una vera e propria guerra e si avvalse anche di aiuti militari di provenienza sovietica e cubana. Alla fine della guerra, soprattutto i rappresentanti di quelle due potenze, si adoperarono per risolvere pacificamente ogni conflitto.

Nell’Eritrea si iniziò il periodo del riordinamento di tutte le sue strutture; fu ripristinata la lingua tigrina a tutti i livelli scolastici nazionali; la politica governativa mantenne l’ideologia socialista-marxista.

Nel 1989 si iniziarono i negoziati di pace che però non poterono proseguire perché nel 1990 le forze del Fronte occuparono Massaua e nel 1991 Asmara ed Assab.

Poi il Fronte assunse l’intero controllo dell’Eritrea creando un governo provvisorio presieduto dal segretario dello stesso Fronte, I. Afewerki, che indisse un referendum affinchè il popolo scegliesse da sé il governo da darsi e tre furono le indicazioni: indipendenza, federazione o unione con l’Etiopia, con la quale intanto si ristabilirono buoni rapporti.

Il referendum fu programmato per il 1993 ed intanto il governo provvisorio di Afewerki fu riconosciuto legale dalla Conferenza Internazionale di Londra tenutasi nell’agosto del 1991.

Egli varò delle misure per sostenere le industrie, l’agricoltura e la pesca, con la ricerca pure di investimenti stranieri, i quali erano ostili naturalmente per l’indirizzo marxista del governo.

Il referendum, svolto nell’aprile 1993, registrò l’altissima affluenza alle urne del 99,8% della popolazione che scelse l’indipendenza. Nel maggio 1993 l’Eritrea fu ammessa alle Nazioni Unite.

Poi si stabilì  in 4 anni il periodo di transizione del potere al  multipartitismo con una nuova Costituzione, per non creare subito dissidi etnici e religiosi.

Un Consiglio di stato, intanto, guidato da Afewerki, ebbe il potere esecutivo ed una Assemblea Nazionale quello legislativo.

Una delle prime deliberazioni di questa Assemblea fu la nomina di Afewerki a Presidente della Repubblica. Nel febbraio 1994 il Fronte cambiò strategia e da movimento armato divenne partito politico con il nome di “Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia”. Questo adottò una politica più moderata ed avviò un sostanziale processo di democratizzazione.

Furono varate appropriate misure per attirare capitali stranieri, tanto necessari in quanto, alla già disastrata situazione economica, si erano aggiunti anche i danni provocati da una prolungata siccità che aveva colpito la regione nel 1993/94.

Intanto una nuova Costituzione era stata elaborata  da una apposita Commissione. Vi furono due conferenze nel giugno 1994 e nel gennaio 1995 in cui esperti di diritto internazionale vagliarono i vari articoli per approvarla o no. Poi vi furono nel paese varie assemblee in cui dibatterono anche la popolazione e l’esercito. Finalmente nel maggio 1997 ci fu il varo della nuova Costituzione.

I rapporti con l’Etiopia si mantennero buoni mentre peggiorarono quelli col Sudan, accusato da  Afewerki di connivenza con gruppi islamici a lui sfavorevoli. Questo conflitto con il Sudan ebbe come logica conseguenza un avvicinamento agli Stati Uniti e ad Israele che considerava Khartum proprio il riferimento principale del fondamentalismo islamico. Nel 1995 furono particolarmente difficili i rapporti con lo Yemen per una questione di sovranità sulle isole Hanish nel Mar Rosso.

All’inizio del 1998 una forte recrudescenza di nazionalismi di ambedue le parti, portò l’Eritrea e l’Etiopia ad un conflitto armato. Ma certamente quello del nazionalismo non fu il solo motivo. Il seme della discordia era rappresentato da una striscia di terra lungo il confine con il  Sudan che comportava contrasti di carattere economico, alimentati, specialmente dopo la decisione del 1997 dell’Eritrea di battere una propria moneta, da preoccupazioni da parte dell’Etiopia di non poter usufruire dei porti eritrei.

Poco poterono le mediazioni di pace fra i due paesi operate sia dagli Stati Uniti che dalla Organizzazione dell’Unità Africana.