Repubblica CECA

Storia

La storia della Cecoslovacchia è quella di una piccola nazione stretta fra popoli troppo potenti. La sua posizione geografica, fra Germania, Austria, Polonia, Ungheria e Russia, segnò per la piccola nazione un destino fatto di lotte lunghe e tremende, ma molto spesso inutili.

Nel VI secolo dopo Cristo alcune tribù slave, provenienti dall’Asia, occuparono il territorio e ne scacciarono gli abitatori di origine germanica. Un capo tribù, di nome Samo, verso il 650 organizzò questi barbari in Stato. Ma il primo vero stato si formò nel IX secolo, sotto il regno di Mojnir. Esso si consolidò e si ingrandì con l’annessione della Slovacchia e della Slesia, e prese il nome di “Grande Moravia”.

Questo stato divenne veramente famoso e potente allorchè fu posto sotto la dinastia di grandi re, i Premyslidi, nel X secolo.

Essi fecero sviluppare nel territorio la cultura occidentale e con loro  iniziò in Cecoslovacchia anche il culto del Cristianesimo.

Nel 1025 però il paese venne aggredito dai Magiari che si impadronirono prima della Slovacchia e poi minacciarono anche la Cecoslovacchia che chiese protezione all’imperatore germanico Federico Barbarossa. L’imperatore aderì immediatamente alla richiesta di aiuto ma il suo scopo era essenzialmente quello di poter annettersi quella provincia, che allora si chiamava Boemia.

Ma fu costretto a mantenere rapporti pacifici finchè regnarono i saggi re Premyslidi.

Questi rapporti pacifici cominciarono a traballare quando nel 1310 salì al trono della Cecoslovacchia un re della dinastia  germanica del Lussemburgo. Ed allora le mire della Germania furono finalmente raggiunte.

Fino al principio del XVI secolo il popolo ceco lottò sempre all’interno della sua terra, diviso in due fazioni: quella che sosteneva l’Impero Germanico e quella che anelava alla propria libertà. Alle diatribe interne spesso si aggiunsero guerre esterne che quasi mai assegnarono la vittoria ai cechi.

Si arrivò al 1526, anno funesto per la Cecoslovacchia, perché il Parlamento, allo stremo per le continue lotte intestine, offrì la corona del regno al principe Ferdinando d’Asburgo. Per quasi 400 anni la Boemia rimase sotto il dominio degli Asburgo ed a nulla valsero le frequenti rivolte.

Fra le varie ribellioni, quella del 1618 fu certamente la più tragica. Avvenne durante la “Guerra dei Trent’anni” scoppiata per motivi religiosi. A quell’epoca non tutte le regioni germaniche avevano aderito al Luteranesimo, alcune erano rimaste legate al Cattolicesimo. In quell’anno l’imperatore Mattia I della casa d’Asburgo, inviò dei messi a Praga per reprimere il Luteranesimo. Al loro arrivo essi furono gettati fuori dalle finestre del castello reale, tanto che l’episodio passò alla storia come la “Defenestrazione di Praga”.

Questo fatto scatenò una guerra fra le truppe imperiali, guidate da Ferdinando II, successore di Mattia I, e quelle boeme che furono facilmente sconfitte nella battaglia della “Montagna Bianca” dell’8 novembre 1620. E per altri tre secoli i cechi rimasero sotto il dominio straniero.
Quando, come già accaduto in parecchie parti del mondo, i principi di libertà ed indipendenza della Rivoluzione Francese entrarono anche in Cecoslovacchia, il popolo tutto unito si sentì incoraggiato a combattere contro l’invasore straniero. Ma nel frattempo la casa d’Asburgo era diventata un potente Impero d’Austria, che con la sua colossale preponderanza ebbe la meglio sui patrioti boemi. E neppure nel 1848 cambiò la situazione, e le guerre per la libertà avevano ormai invaso tutti i paesi d’Europa sotto dominio straniero.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, molti patrioti cechi colsero l’occasione per tornare alla carica ed ottenere la libertà del proprio paese e così fuggirono dalla loro terra e si arruolarono negli eserciti francese, italiano e russo. Essi furono così numerosi che gli Alleati, alla fine della guerra vittoriosa, nell’agosto del 1918 dichiararono la Cecoslovacchia Paese Alleato e come tale venne riconosciuto nel Trattato di Versailles, nazione indipendente. Finalmente il sogno di 400 anni per i cechi si era avverato. La Cecoslovacchia era una Repubblica.

Ma, come spesso accade in paesi in cui le popolazioni sono formate da etnìe diverse, anche in Cecoslovacchia, data la diversità dei boemi, dei moravi e degli slovacchi, sorsero ben presto dei conflitti. E questi furono aggravati allorchè Hitler cominciò ad applicare in Europa la sua politica aggressiva. La Slovacchia colse al volo l’occasione per proclamare la sua propria indipendenza. Era il 1939, l’inizio di marzo. Quindici giorni dopo Hitler invase la Cecoslovacchia occupandola in brevissimo tempo.

Anche questa volta i cecoslovacchi non si arresero e combatterono strenuamente, dopo aver formato a Londra il loro governo in esilio. Sorsero le organizzazioni dei partigiani che dall’interno combattevano il nemico così come all’esterno truppe regolari facevano la stessa cosa al fianco degli Alleati. Alla fine della guerra la Cecoslovacchia ricostituì  lo stato che, poi, nel 1948 divenne una Repubblica di tipo comunista, legata al blocco dell’Est sotto l’egida dell’Unione Sovietica.

Il paese iniziò la sua marcia sotto la guida di K. Gottwald. Uno degli obiettivi principali del nuovo regime fu quello di detronizzare completamente la Chiesa cattolica. La rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede avvenne nel marzo del 1950, con l’espulsione del Nunzio Apostolico.

Fra il 1949 ed il 1953 trovò applicazione il primo piano quinquennale che raddoppiò la produzione relativa all’industria pesante. La lotta per l’acquisizione del potere ebbe i due massimi esponenti in Gottwald, sostenuto da Mosca, e Rudolf Slanski, alto rappresentante del partito comunista. Quest’ultimo, più tardi, fu accusato di tradimento; quindi processato ed impiccato il 3 dicembre 1952.

L’anno 1953 fu quello dei  sovvertimenti politici ed economici; la morte di Stalin e quella di Gottwald  diede l’avvìo al “nuovo corso”, con la elezione a Presidente della Repubblica di Antonin Zapotocky, e presidente del Consiglio Viliam Siroky. In economia si privilegiarono l’industria leggera e l’agricoltura. Nel gennaio 1956 fu lanciato un altro piano quinquennale con forti  investimenti  atti a crescere del 50% il reddito nazionale.

Per la politica interna A. Novotny, primo segretario del partito, seguendo l’ideologia di Kruscev, attuò un programma di ammorbidimento ed infatti alleggerì di molto la pressione esercitata dalla polizia di stato.

Per quella estera, pur seguendo l’orientamento di quella sovietica, ci si rivolse anche verso  l’occidente eliminando la “guerra fredda”, e si stabilirono rapporti di coesistenza pacifica. Il 13 novembre 1957, alla morte di Zapotocky, Novotny divenne pure Presidente della Repubblica. Il 12 luglio 1960 fu varata una nuova Costituzione i cui punti essenziali furono:
- la definizione della Cecoslovacchia di “Stato Socialista”;
- riconoscimento al partito comunista del compito di guida del paese;
- ricostituzione dei Comitati Nazionali per l’autogoverno locale;
- riconferma della proprietà collettiva socialista dello stato, con l’esistenza di piccole imprese
sia industriali che agricole;
- ampia autonomia della Slovacchia;
- riconferma dei legami con l’Unione Sovietica.

Per alcuni anni, fino al 1967, la diplomazia cecoslovacca  svolse intensa attività. Prese posizione contro la ribellione ungherese, dettata dall’imperialismo occidentale; si allineò contro i revisionisti jugoslavi; sostituì il proprio ambasciatore con un incaricato d’affari a Tirana, dopo il peggioramento dei rapporti Albania-Unione Sovietica e concluse un trattato di alleanza con la Repubblica Democratica Tedesca.

Per l’economia si dovettero revisionare i vari piani quinquennali dato il continuo disagio in cui si veniva sempre a trovare l’intero apparato produttivo.

Il potere di Novotny, logorato dalle continue delusioni, cominciò a vacillare. Con il IV Congresso degli Intellettuali si iniziò una crisi. Il più rappresentativo fra di essi, M. Kundera, pose l’accento sull’isolamento subìto in tutto questo periodo dalla cultura cecoslovacca, invece strettamente legata alle vicende dell’intera Europa. Ed anche la Slovacchia, allargando la crisi, cominciò a premere per una sua autonomia sia politica che culturale. Tanto che quando Novotny si recò per una visita a Bratislava fu accolto con manifestazioni ostili da tutta la popolazione.

Nel gennaio 1968 si dimise dalla carica di segretario, che passò ad A. Dubcek, dal 1966 leader dei comunisti  slovacchi. Nel marzo divenne Presidente della Repubblica L. Svoboda ed a capo del governo nell’aprile arrivò O. Cernik. Ed intanto Ota Sik, vicepresidente del Consiglio, propose un nuovo orientamento per l’economia nazionale, sottraendola all’influsso totale di quella dell’est-europeo, e mettendola invece in concorrenza con quella dei paesi dell’ovest-europeo, per rinvigorirla.  A tale proposito riuscì persino ad ottenere  un cospicuo  prestito di 500.000 dollari dalla Repubblica Federale Tedesca.

All’interno si andò mano mano sviluppando un movimento politico-culturale, passato alla storia col nome di “Primavera di Praga” che rappresentò una felice espressione della partecipazione popolare al governo del paese in tutti i settori.

Tra il 20 ed il 21 agosto 1968 forze corazzate del Patto di Varsavia, eccettuata la Romania, occuparono Praga ed arrestarono i principali fautori della “primavera”, ossia Dubcek, Cernik e Smrkovsky e li condussero a Mosca, per processarli: in un secondo tempo arrivò Svoboda. Varie ripercussioni suscitò questo avvenimento. La Cina condannò quella che chiamò “aggressione sovietica”; la Jugoslavia e la Romania colsero  l’occasione per ribadire la loro volontà di indipendenza. I commenti dell’occidente furono essenzialmente contenuti, per non creare interruzioni all’opera di distensione già intrapresa. Fidel Castro, invece, plaudì a quell’intervento inteso a stroncare le mire imperialistiche degli Stati Uniti e di Bonn. Gli ispiratori della “primavera” furono costretti ad impegnarsi per una restaurazione della dirigenza del partito.

Cernik, per venire incontro alle richieste della Slovacchia,  mise in pratica la federalizzazione, che entrò in vigore nel gennaio del 1969. In questo mese lo studente Jan Palach si autoincendiò per protesta e questo avvenimento alimentò la tensione, già grande.

Husak, dall’aprile 1969  fu il capo del Partito Comunista Cecoslovacco. Nel gennaio 1970 Cernik fu sostituito da L. Strougal.

 Egli come primo atto del suo governo stipulò un nuovo trattato di amicizia con l’Unione Sovietica. Nel giugno del 1973 furono regolati i rapporti con la Germania di Bonn. Nel maggio 1975 Husak fu eletto Presidente della Repubblica in sostituzione di Svoboda, mentre gli esponenti della “primavera” nel 1977 continuavano a levare le loro proteste intese ad ottenere i riconoscimenti dei diritti umani.

In tutti questi anni intanto la Slovacchia aveva ribadito il suo diritto all’autonomia ed all’indipendenza. Ed in parte ciò era stato possibile;  durante la seconda guerra mondiale, infatti,  a Bratislava era stato  creato un Parlamento locale, sostenuto dai nazisti, di cui gli slovacchi erano fedeli assertori.

Il potere centrista di Husak aveva annullato questa autonomia. Ma, all’indomani della caduta del regime comunista, la federazione si  dissolse rapidamente ed il 1° gennaio 1993 vide la nascita di due  stati separati ed indipendenti: la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca.

Nata il 1° gennaio 1993 dalla dissoluzione dello stato della Cecoslovacchia  nelle due Repubbliche, Ceca e Slovacca, iniziarono subito i contrasti, nella maggior parte aggravati da diverse crisi di ordine economico-sociale. Fra questi, la disoccupazione  che in questa Repubblica non superò il 4%, mentre nella Slovacchia aveva raggiunto il 12%.

Nel giugno 1992  erano state indette  le elezioni che portarono alla prevalenza il Partito Civico, democratico e liberista. Alla guida del governo ceco era pervenuto V. Klaus. Il 31 dicembre 1992, dopo la firma di un trattato di amicizia e di cooperazione, le strutture federali in comune con la Slovacchia risultarono definitivamente dissolte. Si cercò subito,attraverso una netta trasformazione dell’economia, all’integrazione politica, economica e militare con le organizzazioni occidentali, come appunto l’Unione Europea.

Nello stesso dicembre 1992 fu varata una nuova Costituzione che introduceva un sistema parlamentare bicamerale con una Camera dei Deputati, formata da 200 esponenti eletti per 4 anni, ed un Senato di 81 membri in carica per 6 anni.  Nel gennaio 1993 fu eletto Presidente della Repubblica V. Havel, con un mandato di 4 anni ripetibile una sola volta. Il Primo Ministro Klaus intanto continuava a guidare il governo di coalizione di centro-destra.  I partiti che lo componevano erano: l’Alleanza Civica Democratica, il Partito Cristiano-Democratico e l’Unione Cristiano-Democratica. Nel febbraio 1993 si ebbe anche l’introduzione di una nuova moneta, che fu la corona ceca.

L’applicazione dell’economia liberista e la privatizzazione di aziende e servizi, costituirono il principale programma del governo. Poi si ampliò il sistema bancario e quello degli investimenti esteri. Dati poi i miglioramenti rapidi e palesi di tutti i settori, la Repubblica Ceca, fra il 1994 ed il 1995, conquistò prima di tutto gli stati europei centro-orientali,  poi  l’ingresso alle organizzazioni per la cooperazione e lo sviluppo economico europeo.

Tuttavia nel 1995 alcuni segni di crisi si affacciarono fra il popolo che non si riteneva soddisfatto del nuovo sistema di sicurezza sociale e pensionistico adottato dal governo. Così iniziarono le prime proteste nella primavera del 1995 e, nel 1996, con le elezioni per la Camera dei Deputati, risultò evidente una forte crescita delle opposizioni. Klaus vide confermata nel luglio 1996 la coalizione fra i partiti alleati e potè così formare un governo, ma di minoranza, però appoggiato dal partito socialdemocratico. Per la qual cosa dovette essere eletto Presidente della Camera dei Deputati il leader socialdemocratico M. Zeman.

Si affacciarono subito i contrasti politici in seno al governo. Uno dei primi motivi della discordia fu la decisione governativa di restituire alla Chiesa cattolica i vari  beni confiscati a suo tempo dal partito comunista. Un altro motivo fu quello della corruzione governativa venuta in superficie con scandali vari.

Nel 1997 Klaus perse  molta della sua credibilità verso il popolo dopo aver attuato drastiche misure di austerità con tagli alla spesa pubblica e con il blocco dei salari. Ma dovette poi dimettersi nel novembre 1997 quando scoppiò uno scandalo legato ad un illecito finanziario del Partito Civico Democratico, per cui due suoi ministri furono esclusi dal governo. Nel dicembre successivo il governatore della Banca Nazionale Ceca, J. Tovovsky, fu chiamato a formare un governo di transizione fino allo svolgimento delle future elezioni, previste per il giugno 1998; intanto Havel nel gennaio 1998  veniva confermato Presidente della Repubblica.

Il governo ceco lavorò per ottenere l’ingresso nella Nato  ed i motivi principali risultarono essenzialmente due: uno per avere uno strumento di difesa dalla Russia (con la quale, peraltro, vigevano rapporti economici e di amicizia), l’altro per proteggersi dall’incombente egemonia della Germania. Proprio con quest’ultimo paese  non era stata mai risolta la questione dei Sudeti.

Questi cittadini tedeschi nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, erano stati espulsi dalla Cecoslovacchia e rinviati in Germania, soprattutto in Baviera, dopo avere confiscato loro tutte le proprietà, che naturalmente erano state fagocitate dallo stato. Il governo tedesco,  sul quale incombeva il costo di questi Sudeti, richiedeva la restituzione delle loro proprietà. Praga, opponendosi si era dichiarata pronta a concedere  la cittadinanza ai Sudeti, o ai loro discendenti, qualora avessero voluto rientrare nel paese e prendere parte ad una eventuale privatizzazione di questi beni.

Dopo svariate consultazioni, alla fine, nel  gennaio 1997 Bonn e Praga avevano sottoscritto una “dichiarazione di riconciliazione” nella quale la Germania si scusava per avere nel 1938 invaso la Cecoslovacchia e, di conseguenza, aver introdotto i Sudeti, e Praga  si scusava per avere espulso i Sudeti dal suo territorio.  Nel gennaio 1998 fu istituito un fondo per gli aiuti alle vittime del nazismo e nel marzo 1998 si iniziarono gli  accordi, sempre con la Germania come principale mediatore, per l’ingresso della Repubblica Ceca nell’Unione Europea.

Nel giugno 1998 si svolsero le elezioni per la Camera dei Deputati e Zeman, col Partito Socialdemocratico rafforzato, potè costituire un governo di minoranza. La fiducia al governo fu concordata fra vari voti contrari ma in virtù della totale astensione del Partito Comunista di Boemia e di Moravia.